Missioni Umanitarie: l’importanza di mettere in pratica le 5A

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mano adulta sotto la mano di una bambina

Come affrontare una missione all’estero? È possibile mettere in pratica le 5A del successo in un setting di Emergenza? Ho cercato una risposta e l’ho trovata

Dal 2001 ho iniziato a impegnarmi in attività sanitarie nei paesi in via di sviluppo, o in paesi in cui le calamità naturali hanno inflitto danni a paesaggi, società e persone. Grazie alla continua ricerca di contesti e di reti in grado di supportare questo scopo sono entrata a far parte di un’organizzazione sanitaria e sociale che opera nel campo dell’assistenza alle persone colpite da eventi calamitosi.

Le competenze possono essere mantenute attraverso formazione/esercitazioni con altri team internazionali. Durante l’ultimo evento Europeo MODEX aprile 2019 in Estonia ho immaginato come si potrebbero impostare le 5 A del Successo in un setting di Emergenza. Come affrontare una Missione all’estero? Spesso non si hanno sufficienti informazioni, neppure troppo tempo di “preparazione”.

Le 5 A in setting di emergenza

Le 5 A (atteggiamento, allenamento, alimentazione, alleati e amore) come possono essere d’aiuto ed utili in una stato di emergenza? Andiamo a vederlo considerandole singolarmente.

Atteggiamento: La flessibilità è una risorsa che aiuta ad essere in stato anche in momenti difficili. La scena tipica è: un Gruppo di professionisti diversi che non si conoscono, disposti a mettersi in gioco, tutti usciti dalla zona di confort, in cerca di un luogo di confort.

Di solito il rifugio diventa lo spazio della branda, sacco a pelo e zaino. Quello è un angolo sacro. Chi sceglie di andare in contesti così caotici ha la percezione di avere un atteggiamento positivo, in grado di cogliere le opportunità.

L’allenamento di cui parleremo in seguito, serve a capire quanto questa convinzione potrebbe essere messa a dura prova dalle circostanze. Atteggiamento d’ascolto e di accoglienza possono essere funzionali.

Ogni dettaglio può fare la differenza. Un sorriso, un abbraccio, una pausa vissuta in relax. Trovare un posto appartato per trovare silenzio. Al campo si trovano un’accozzaglia di emozioni, persone, ruoli, confusione. Non sempre “l’esperto” è il mentore che si può seguire.

Meglio avere in mente un modello che ha saputo trovare la sua strada nelle avversità. E chiedersi: “cosa avrebbe fatto indiana Jones in questo caso?”

Ambiente: andare in Missione significa arrivare in un ambiente psicosociale e climatico stravolto. Non solo l’ambiente che si trova è diverso da quello che prima era la normalità per gli abitanti, anche ciò che è normalità per alcuni potrebbe essere considerato difficile.

Questa prospettiva è fondamentale per riuscire a calibrare, la popolazione, colleghi del posto e anche il resto del team. Per poter trasformare e sviluppare le potenzialità delle persone circostanti, andare da un punto A un punto B, è fondamentale comprendere qual è il punto A.

Curiosità, ascolto, osservazione, serenità possono essere alcune caratteristiche utili per affrontare un ambiente al di fuori della zona di confort.

L’attenzione ai dettagli fa emergere che ciò che prima era dettaglio, ora si trasforma in una “certezza” a cui aggrapparsi.

Mi spiego meglio: ad esempio, durante una missione sanitaria, in diversi tra infermieri e medici, ci stupimmo del fatto che nonostante gli spazi fossero limitati sia nelle tende-ospedale sia nelle tende-dormitorio alcuni colleghi locali insistevano per avere uno spazio definito “loro ambulatorio”.

Dopo vari incontri e/o scontri, emerse l’importanza di un luogo fisico dove esercitare la professione. Un confine fisico per ristabilire un equilibrio in un ambiente dove i confini erano stati spazzati via da una scossa.

In una realtà dove i muri e i confini erano stati sconvolti dal terremoto, il luogo fisico e il ruolo professionale esercitato diventavano due elementi da difendere. Come sarà andata?

Alleati: in missione ogni volta si creano nuovi legami e si incontrato nuovi potenziali alleati. Può essere d’aiuto avere mentori o risorse interne alleati che ci portiamo da casa. Il contatto e la comunicazione non è sempre disponibile, meglio allenarsi con la fantasia.

Attraverso i canali comunicativi visivo, uditivo e cinestesico si calibrano, ascoltano e contattano le persone nel campo.

Lo spirito di sopravvivenza fa emergere la parte istintuale più profonda. Passata la fase dell’eroe immediata alla catastrofe è normale avere comportamenti come l’attacco e la fuga.

Tutte le scorciatoie cognitive servono per risparmiare energie, fisiche, mentali. Se incontri un alleato in missione, lo diventa per molti anni a venire. Obiettivo comune, vincere insieme.

Amore: In missione sapere che le persone che ami sono al sicuro, sapere di tornare da loro diventa un mantra. Negli anni, le diverse attività sanitarie in caso di catastrofi sono durate brevi periodi, da una settimana ad un mese.

Ogni limitazione diventa più leggera sapendo che si tratta di un periodo limitato. Diventa fondamentale la gestione del ritmo lavoro/riposo. Le pause vanno previste e sono necessarie. Non ci si può permettere di essere stanchi nell’affrontare delle urgenze. Ne va a discapito della salute delle persone e della missione stessa.

Amare il proprio corpo, fare attenzione alla biochimica, al benessere, semplicemente alimentarsi e idratarsi in modo adeguato, riuscire a dormire, è fondamentale. Mi è capitato di essere contenta di lavorare la notte, perché di giorno in tenda-dormitorio c’era meno rumore, anche se il caldo, o il freddo, non sempre rendono agevole il clima. Poi rimando tutto alla cornice della situazione e qualsiasi difficoltà è affrontabile. Tanto è solo per un mese.

Allenamento: la prima missione in Madagascar è stata per me una “prova”. Ho scoperto che le limitazioni per un mese erano tranquillamente affrontabili. Non conoscevo nessuno, non ero raggiungibile dalla tecnologia, mi spostavo da una missione all’altra facendo improbabili autostop con un biglietto scritto in una lingua che non conoscevo, interpretato solo da alcune persone che sapevano leggere. Sono arrivata sempre a destinazione. Ho avuto paura solo una volta.

Ci si allena a chiedere, a chiarire, ad ascoltare. A vedere con occhi nuovi. A riposare quando c’è un momento di tregua. Ci si allena a tutto.

Dopo ogni missione e/o esercitazione ritorno a casa con la consapevolezza di aver messo altri strumenti nella cassetta degli attrezzi. L’allenamento vero è riconoscersi, ascoltarsi, e mettersi in gioco.

Ripenso alla prima missione da giovane infermiera ha trasformato il mio destino. Uscita dalla zona di confort ho sentito di aver fatto la differenza nella mia vita e in quella di altri.

Ho iniziato un cambiamento che è ancora in atto. In moto verso un futuro che desidero come persona e come professionista. Andare Verso e Andare con.

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